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Da partito dei notabili a partito di massa?

9 giugno 2014 No Comment

Von der Honoratiorenpartei zur Volkspartei? Faschisten, Kommunisten, Sozial- und Christdemokraten in Deutschland und Italien

Da partito dei notabili a partito popolare di massa? Fascisti, comunisti, socialdemocratici e democristiani in Italia e in Germania

 

26 – 30 marzo 2014

Villa Vigoni

Il convegno “Dal partito dei notabili a partito popolare di massa? Fascisti, comunisti, socialdemocratici e democristiani in Italia e in Germania” si è tenuto dal 26 al 30 marzo nell’ambito dei Colloqui DFG-Villa Vigoni (Loveno di Menaggio-Como). Organizzato e coordinato da Stefano Cavazza (Universià di Bologna), Thomas Großbölting (Universität Münster), Christian Jansen (Universität Trier) e Thomas Kroll (Universität Jena), ha avuto come focus l’evoluzione della struttura partitica in Italia e in Germania nel XX secolo. L’idea del convegno nasce dal workshopParteiengeschichte heute svoltosi nel febbraio 2013 all’Università di Münster, che ha sottolineato la necessità di approfondire aspetti transnazionali e comparati riguardanti la storia dei partiti in Italia e in Germania. [http://hsozkult.geschichte.hu-berlin.de/tagungsberichte/id=4814]. La prima sessione, dal titolo Percorsi e modelli del partito di massa (1890-1930), è presieduta da Christian Jansen, che illustra anche gli obiettivi del convegno e laFragestellung. In particolare, viene sottolineata la necessità di mettere in luce le analogie e le differenze nella struttura dei partiti in Italia e in Germania in tre diversi periodi della storia del XX secolo.

Apre i lavori Thomas Welskopp (Universität Bielefeld), la cui relazione si concentra sulle origini del Partito Socialdemocratico Tedesco, sottolineando come questo non fosse mai stato un vero e proprio partito di notabili, ma sia nato come un movimento sociale caratterizzato da una rete sovraregionale di relazioni e di comunicazioni e da una forte presenza mediatica (stampa di partito), già molto sviluppata negli ultimi decenni del XIX secolo. Welskopp descrive poi lo sviluppo della SPD, che già all’inizio del ‘900 può essere considerato un partito di massa, forte di 4,2 milioni di voti, di una forte base territoriale, di una struttura simile a quella di un sindacato e di un efficiente sistema di reclutamento giovanile basato su organizzazioni di massa. Nonostante ciò i socialdemocratici tedeschi non riuscirono a integrarsi nel sistema politico prebellico tedesco, così come non riuscirono a sfruttare le proprie caratteristiche di massa nel sistema di Weimar, caratterizzato da un dominio del Zentrum cristiano.

Antonio Scornajenghi (Università Roma Tre) si concentra invece sulle origini e sull’organizzazione del Partito Popolare Italiano, illustrando anzitutto il vivace dibattito storiografico su tale tema. Particolarmente interessanti risultano le interpretazioni che evidenziano il significato che il Zentrum svolse per la nascita del PPI, come mostrano gli studi in chiave comparata sui due partiti cristiani in Italia e in Germania (Vecchio, Trinchese). Il relatore spiega il motivo per cui l’esempio del Zentrum, pur essendo stato importante per la cultura politica cattolica nei primi anni del ‘900, non viene seguito in Italia, dove Pio X decide di rinunciare a sostenere la creazione di una struttura centralizzata, a favore di una partecipazione individuale dei cattolici alla vita politica. Viene illustrato poi l’ambivalente rapporto tra la Santa Sede e il PPI, caratterizzato dapprima da un appoggio della Santa Sede al Partito e in seguito da una latente contrapposizione a partire dagli anni ’20. La terza parte della relazione si concentra sull’analisi del difficile rapporto tra popolari e liberali e su una comparazione tra le strutture dei due partiti, che possono essere presi come archetipi del partito popolare di massa e del partito di notabili.

Si prosegue con la lettura della relazione di Maurizio Punzo (Università di Milano). La relazione ripercorre la storia del Partito Socialista Italiano dalle origini alla guerra, mettendo il luce l’importanza del modello della democrazia sociale tedesca per la nascita del PSI. Dal punto di vista strutturale, si sottolinea come dal Congresso di Genova, atto di nascita del Partito, non sia stata elaborata una chiara struttura organizzativa, dal momento che i delegati si concentrarono maggiormente sull’aspetto programmatico. Ciò portò a una sovrapposizione con il sindacato, almeno fino alla metà degli anni ’90 dell’Otocento, quando nacque il partito moderno. Al centro della relazione di Punzo vi è la stretta connessione fra gli aspetti organizzativi e quelli politici e l’influenza che i primi hanno su questi ultimi. A causare questa influenza è stata, da un lato, la doppia appartenenza della maggior parte degli iscritti al partito e al sindacato, dall’altro, la divisione del partito in correnti. Tale divisione fin dalla sua nascita portò il gruppo dirigente a dividersi in moderati e intransigenti e a mettere in discussione, da parte di questi ultimi, non solo la linea politica del gruppo di Turati, ma anche la struttura organizzativa, criticando il ruolo stesso del partito all’interno del sistema costituzionale. Accanto a questo va considerata la complessità storica e geografica del movimento operaio italiano, che vide, accanto alla presenza del partito e del sindacato, quella di altre organizzazioni come le cooperative o le società di mutuo soccorso.

Aldo Agosti (Università di Torino) analizza invece la storia dell’altro grande partito operaio italiano, quello comunista, ripercorrendo la sua storia dalle origini nel 1921 fino agli anni ’50. Ultimo grande partito ad essere nato secondo lo schema della “rivoluzione alle porte”, è stato caratterizzato da un processo di genesi e maturazione molto lungo, iniziato con la crisi della Seconda Internazionale durante la guerra mondiale. Nato dal massimalismo socialista, il Partito Comunista d’Italia ereditò dal PSI alcune sue componenti, tra cui la struttura provinciale. Dopo le deludenti elezioni del 1921 però, nel partito si sviluppò un arroccamento difensivo, un isolamento politico e una forte componente identitaria. Nodo cruciale identificato da Agosti è il 1924: il V congresso del Komintern portò a una bolscevizzazione del partito e alla creazione delle cellule di fabbrica come base del Partito, in sostituzione delle sezioni territoriali. Venne creato un gruppo di funzionari, che dovette gestire la clandestinità del Partito, iniziata nel 1926. Il PCI si delineò come partito di massa a partire dalla liberazione del Sud Italia. Durante il fascismo le cellule erano riuscite a mantenere un radicamento nella società, e ciò permise una rapida espansione a partire dal ’44. Il “partito nuovo” togliattiano cambiò radicalmente struttura e strategia politica: il PCI doveva ora aderire alle pieghe della nazione, diventare “partito nazionale”, sempre però gestito da quadri preparati. Ne deriva un mix composito e contraddittorio tra partito di quadri e partito di massa.

La seconda sessione dei lavori, dal titolo “Partito Nazionale Fascista e NSDAP come partiti popolari di massa (1920-1945)” viene presieduta da Thomas Großbölting e aperta da Armin Nolzen (Warburg), che delinea i meccanismi di integrazione dei membri della NSDAP tra il 1925 e il 1945, sostenendo una stretta relazione fra l’aumento degli iscritti al partito e lo sviluppo della sua struttura.

Le relazione di Nolzen si suddivide in tre parti, corrispondenti a tre diversi periodi della storia della NSDAP: nella prima parte viene sottolineato come, a partire dalla decisione del partito nazionalsocialista a partecipare alle elezioni (1925-26),  la sua propaganda elettorale è differenziata per mestieri, così come la sua struttura. In questo periodo l’integrazione dei membri era basata su due meccanismi: “mobilitazione e violenza”. La seconda parte riguarda il periodo immediatamente successivo alla nomina a Cancelliere di Hitler, caratterizzato, per il partito, da un aumento vertiginoso del numero degli iscritti e dal processo di Gleichschaltung nei confronti delle sue organizzazione di massa, fulcro, fino al 1939, del processo di integrazione nel partito, che in questo periodo si caratterizzò dai meccanismi di “istituzionalizzazione e controllo”.

La terza parte della relazione di Nolzen si concentra sul periodo di espansione all’estero della NSDAP, iniziato con l’Anschluss dell’Austria nel 1938: in questa terza fase, che vide una nuova crescita degli iscritti, l’espansione del partito avvenne per i meccanismi dell’“educazione” al nazionalsocialismo (Erziehung) nel periodo delle vittorie, e degli “aiuti sociali” dopo il 1941/’42, dopo l’inizio dei primi rovesci ai fronti e soprattutto dei bombardamenti delle città tedesche.Susanne Meinl (Dietramszell) analizza invece la figura del Reichschatzmeister della NSDAP, Franz Xaver Schwarz, che, nonostante sia stato uno dei personaggi più importanti per l’organizzazione del partito, figurando tra i dieci maggiori ricercati degli alleati, è spesso rimasto ai margini della storiografia principale. La studiosa, ancora nel pieno svolgersi del lavoro di ricerca, approfondisce la struttura e le funzioni dell’Amt des Reichsschatzmeisters come centro di potere all’interno del partito nazionalsocialista a livello sia centrale che periferico, i meccanismi di gestione dei suoi beni e la persona di Schwarz, ponendo particolare attenzione al suo rapporto con Hitler e a quello, spesso estremamente conflittuale, con gli altri gerarchi. Visto spesso come un diligente burocrate, Schwarz era in realtà non solo il gestore del “tesoro del Partito”, ma anche il controllore della “moralità” (finanziaria) dei membri della gerarchia a tutti i livelli.

René Moehrle (Università di Trier) relaziona sulle strutture organizzative del PNF, analizzandole attraverso gli Statuti di cui il partito si dota, che andarono nella direzione di una progressiva fascistizzazione della società italiana: caratterizzato inizialmente da una struttura centralmente debole e da una notevole mancanza di controllo, a partire dal III Congresso del PNF il Fascismo da movimento diventò un partito vero e proprio (in questo momento si contavano 310 mila iscritti) e si dotò di uno statuto e di organi centrali, con Mussolini che rimase però al di fuori di questi, pur avendo egli stesso favorito l’accentramento, visto come freno all’autonomia delle fazioni interne e periferiche. Alla strutturazione del partito si contrappose però un indirizzo politico ancora vago e un programma in elaborazione, che costituiscono in ogni caso la vera forza attrattiva del partito. Dopo tale fase, la relazione di Moehrle descrive la progressiva omogeneizzazione delle strutture partitiche con quelle politiche e amministrative dello stato italiano, il cui sistema è caratterizzato tra il 1928 e il 1943 dall’esistenza di un solo partito.

Thomas Schlemmer (Institut für Zeitgeschichte-Monaco) conclude la prima giornata di lavori analizzando invece la struttura e le caratteristiche degli iscritti, la capacità di mobilitazione e la partecipazione politica dei membri del PNF e della NSDAP e proponendo un’interpretazione secondo cui è impossibile utilizzare i concetti di partito di massa/Volkspartei riguardo al PNF e alla NSDAP, dal momento che questo termine può essere utilizzato solo per partiti operanti in sistemi democratici concorrenziali. Considerando i numeri degli iscritti si delineano sicuramente partiti di massa, ma il carattere di Partito-Stato, unito ai fenomeni di opportunismo e coercizione, oltreché all’esclusione di importanti gruppi sociali, determinano una differenza tra i due partiti e ciò che rientra nel concetto tradizionale di partito di massa. La seconda parte della sessione, moderata il giorno successivo di Christiane Liermann (Villa Vigoni), si apre con la relazione di Loreto Di Nucci (Università di Perugia), avente per oggetto strutture e funzionamento del PNF. Le domande che Di Nucci pone sono quattro: quale fu la forma-partito del PNF; quale è stato il meccanismo regolatore della disciplina; quali furono le funzioni attribuite al partito; quale eredità storica ha lasciato il modello delPNF nell’Italia Repubblicana. Come Moehrle, anche Di Nucci sottolinea il carattere di partito-milizia e le procedure democratiche interne al PNF, che reggono fino al 1926, quando la progressiva gerarchizzazione si trasformò in burocratizzazione. Ciò non riuscì a cancellare il dualismo dovuto al carattere di Partito-Stato al centro ma soprattutto alla periferia, dove i rapporti tra prefetto e segretario di federazione generò non pochi problemi all’organizzazione del fascismo fino al 1943, ostacolando le funzioni che Mussolini attribuì al PNF, che Di Nucci elenca come: immettere il popolo nella vita dello Stato; fascistizzare la nazione, creare gli italiani del fascismo. L’eredità storica della struttura partitica fascista è secondo il relatore evidente quantomeno per i due partiti di massa repubblicani. Laddove il PCI ereditò dal fascismo la forza di mobilitazione e la capacità di mobilitare grandi masse, la DC ne ereditò il carattere di tramite tra cittadini e Stato, così come la funzione svolta nell’ambito dell’assistenza sociale. A Stefano Cavazza(Università di Bologna) il compito di approfondire uno degli aspetti toccati da Moehrle e Di Nucci, cioè la struttura periferica del PNF e il suo funzionamento nelle province. Cavazza, illustrando la storiografia sull’argomento, spiega come questa abbia avuto molto successo negli ultimi anni e come sia riuscita a fare un salto di qualità, superando il rischio di rimanere intrappolata in un’ottica localistica. Viene affrontato l’importante tema del cambiamento nel rapporto centro-periferia che il fascismo impone con la sua salita al potere e la progressiva centralizzazione del fascismo, che da movimento si fa progressivamente partito-stato, anche esautorando molti poteri provinciali, con l’obiettivo di riportare ordine alla periferia. Con vari esempi (Siena, Arezzo, Eboli) Cavazza si sofferma su un altro tema, quello della continuità/discontinuità nei meccanismi di creazione delle élite, sottolineando come in periferia notevole importanza rivestivano centri di potere tradizionali, mentre al centro l’importanza di questi era minore, dal momento che il potere del partito era riservato soprattutto ad “Homini Novi”.  Stimolante appare la discussione seguita all’intervento, nella quale viene affrontata la possibilità di una storia comparata tra NSDAP e PNF riguardo la struttura delle organizzazioni e mediante lo studio delle dinamiche centro-periferia.

Anche Chiara Giorgi (Università di Genova) approfondisce uno dei temi introdotti dalle relazioni precedenti, cioè la politica sociale del PNF. Il partito si dotò di strumenti assistenziali efficienti: gli enti pubblici previdenziali (INAIL,INAMINPS), l’Ente Opere Assistenziali (Eoa) e l’Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia (Onmi). La studiosa precisa che la divisione dei compiti tra enti previdenziali e opere assistenziali durante il fascismo è notevole, e sottolinea come le politiche sociali in forma di incentivi economici vengano riformulati in diritti dal regime. La risposta dei beneficiari nella partecipazione e adesione alle opere assistenziali consolidò un consenso. Già dal 1926 il PNF iniziò a gestire e promuovere le attività assistenziali. La discussione si incentra sui fondi utilizzati dal partito per coprire i costi di queste politiche sociali e sui rapporti che un ente come l’Eoa costruì con altri soggetti (fasci femminili, Omb, Onmi); viene sostenuto che la funzione del PNF fosse stata anche quella di portatore di uno stato sociale ai fini del consenso. Altre domande e suggestioni nate dall’intervento riguardano il campo dell’assistenza, che rappresenta anche l’area di competizione tra PNF e Chiesa Cattolica sul territorio; l’ultima parte della riflessione è una comparazione tra le politiche sociali attuate dal PNF e i moderni stati sociali.

Modera la terza sessione del convegno Stefano Cavazza e apre i lavori Paolo Pombeni (FBK-Trento), che analizza i caratteri del partito di massa europeo dopo il 1945, alla luce del nuovo contesto caratterizzato soprattutto dal rapido sviluppo economico che i partiti si trovano a governare almeno fino al 1973. Con un’analisi comparata dei sistemi partitici italiano, tedesco, inglese e francese Pombeni descrive il ruolo dei partiti come strumenti della gestione dello sviluppo sociale ed economico sostenibile, che diventa nei quattro paesi anche base del consenso elettorale. La forma partito nel secondo dopoguerra trae forza da una democrazia che Pombeni definisce “dell’abbondanza”, cioè da una precisa fase del sistema costituzionale liberal-democratico caratterizzata da una ricchezza di risorse economiche ridistribuite in maggioranza a ceti sociali medi e operai. I partiti rappresentano – in questa fase storica – le strutture per l’esercizio di una “cittadinanza politica”, un “sistema di fruizione ampia ed integrale del sistema dei diritti, delle garanzie e delle protezioni sociali”. Paolo Ciampani (LUMSA-Roma) ripercorre, nel suo intervento “Il tardo risorgimento politico dei cattolici: leader e consenso sociale della Democrazia Cristiana”, la partecipazione politica dei cattolici alla formazione dello Stato nazionale. Lo studioso analizza le tappe storiche della storia politica cattolica italiana quali la “Questione romana”, il “Non Expedit”, la centralità per i cattolici del parlamento e l’importanza di un consenso sociale e la crisi della DC negli anni Sessanta. Paolo Mattera (Università Roma Tre) analizza invece le modalità di finanziamento del Partito socialista Italiano negli anni ’50 e ’60, sostenendo la tesi di un nesso tra queste, l’organizzazione del partito e la sua politica, alla luce anche degli influssi delle relazioni internazionali (a tal proposito cita numerose fonti d’archivio). Lo studioso delinea la storia del PSI per fasi e riscontra che l’anomalia socialista dopo il 1948 deve essere analizzata attraverso lo studio di molteplici fattori (politici, ideologici ma anche organizzativi e finanziari) che fanno del partito un’organizzazione debole se lo si confronta con il PCI del secondo dopoguerra; tra questi elementi Mattera riscontra il problema della non autonomia del PSI dai finanziamenti da Mosca e la sottovalutazione dei dirigenti del partito, tra il 1943 e il 1945, dell’importanza che ricopre la propria organizzazione. Durante la guerra fredda poi, la rincorsa del PSI per sopravvivere con finanziamenti esteri (sia sovietici ma anche statunitensi) avrebbe decretato sempre una sua intrinseca debolezza che sarebbe emersa in seguito negli scandali dei primi anni Novanta e nella disintegrazione stessa del partito.

Maria Casalini (Università di Firenze) descrive invece la militanza femminile nel PCI del dopoguerra, leggendola come parte della strategia globale del “partito nuovo” di Togliatti. Se, infatti, prima della guerra e durante la Resistenza i partiti scelsero una integrazione femminile, dopo la guerra il PCI optò per il doppio inquadramento delle donne da un lato nel partito, dall’altro nell’Unione delle Donne Italiane, che aveva, nella strategia comunista, il compito di avvicinare le donne al partito, attraverso l’utilizzo di parole d’ordine tratte dalla vita quotidiana. Tale doppia appartenenza mette in luce un altro lato della contraddittorietà del PCI, aspetto già toccato da Agosti. Dopo aver descritto il radicamento dell’UDI nella geografia italiana e la sua composizione per fasce di età, Casalini mette in luce quanto radicata fosse la tradizionale connotazione di genere delle competenze specifiche anche a sinistra, nonostante le figure dirigenti femminili all’interno del PCI (Iotti, Montagnana, Noce) apparissero come militanti comuniste, e non come “tradizionali buone madri e mogli”, immagine cara all’UDI.

La giornata di sabato 30 marzo si apre con l’intervento di Silvio Pons (Università Roma-Tor Vergata). Lo storico, dopo aver descritto le caratteristiche di massa dei partiti comunisti e i due modelli di partito che si affacciarono in Europa immediatamente dopo la fine della guerra – il partito legato all’antifascismo combattente (Grecia, Jugoslavia) e il partito che opta per l’antifascismo legalitario e l’inserimento nei sistemi costituzionali occidentali (Italia, Francia) – analizza la struttura internazionale del movimento comunista nel II dopoguerra e mette in luce la relazione esistente tra le istanze della guerra fredda e l’evoluzione delle relazioni internazionali e la struttura dei partiti. L’ultima sessione del convegno, moderata da Francesco Traniello, viene aperta da Thomas Großbölting e Rüdiger Schmidt(Università di Münster) che presentano delle suggestioni ponendo un interrogativo: ci troviamo di fronte alla fine dei partiti? Ripercorrono, così, l’evoluzione delle forme di partito nel corso degli anni Settanta, Ottanta e Novanta del Novecento, analizzando le nuove forme di comunicazione che adottano, il calo del numero degli iscritti, il rapporto tra leadership ed elettori, i programmi politici. Dallo stimolante dibattito che segue la relazione emergono nuove domande a cui ancora la storiografia non ha dato risposte: qual è la relazione tra la composizione dei membri del partito e l’evoluzione dell’organizzazione? In che modo le trasformazioni dei sistemi di governo (es. la Germania e l’aumento delle competenze affidate ai Länder, che diventano una sorta di laboratorio elettorale) hanno influenzato questi cambiamenti? In che modo è cambiato il rapporto dei partiti con l’ideologia? Il partito, in sostanza, cambia la sua funzione e sembra corretto poter sostenere che si esso di pone nei confronti della società come un fornitore di servizi. Il tema dell’incomunicabilità tra partiti e società viene approfondito nell’intervento di Massimiliano Livi (Università di Münster). Le modalità con cui il partito arriva agli elettori cambiano nel corso degli ultimi venti anni in Italia, considerata come laboratorio politico europeo. L’esempio che porta lo studioso è quello di Forza Italia. Si verifica, nel percorso del partito, un’”istantaneizzazione” del programma politico, la mancanza di un segretario e la presenza di un solo presidente (Silvio Berlusconi), l’assenza di sezioni comunali e provinciali (strutture territoriali poche e definite) e una forma organizzativa in cui il presidente parla direttamente ad ogni singolo elettore. Il Movimento 5 Stelle, in perfetta continuità strutturale, radicalizza ulteriormente questa scelta, rifiutando una struttura vera e propria; esiste soltanto come un blog, i centri territoriali sono completamente inesistenti. Sembra di poter parlare di un passaggio di fondo tra l’ideologia e il sentimento, fattori emotivi di partecipazione alla vita dei nuovi partiti. Christian Jansen modera la discussione finale di un convegno intenso e ricco di spunti di riflessione. Il convegno ha toccato diversi campi. Si è riscontrata la mancanza di interventi sul KPD, caso quasi unico di partito di quadri nel secondo dopoguerra, e soprattutto sulla CDU/CSU.

Cavazza presenta degli elementi di eterogeneità emersi dal convegno: la presenza di filiere disciplinari diverse e la necessità, nella comparazione, di un ulteriore sforzo di concettualizzazione. È emersa la necessità di rafforzare gli elementi di comunicazione tra la Germania e l’Italia tenendo conto delle reciproche storiografie recenti. Nolzen sottolinea, ad esempio, l’importanza delle differenze nello scambio tra le due storiografie e Großbölting propone una stimolazione degli studi comparativi bilaterali sulla storia dei partiti che promuovano un approccio politologico. Christiane Liermann chiude il convegno sottolineandone il bilancio positivo e augurandosi ulteriori momenti di confronto fra le due storiografie.

 

Laura Di Fabio

Dottoranda in Storia politica, economica e sociale

dell’Europa in età contemporanea,

Universita´di Roma-Tor Vergata e Westfälische Wilhelms-Universität  Münster

laura-d.f@libero.it

 

Francesco Leone

Dottorando in storia contemporanea, Università di Trier

francescoleone2@alice.it

 

 

Donnerstag/giovedì 27.03.2014

 

Sektion 1

Wege und Modelle der Volkspartei (1890-1930) / Percorsi e modelli del partito di massa (1890-1930). Moderation: Chistian Jansen

 

h. 9.00 Begrüßung durch Christian Jansen

 

h. 9.20 Thomas Welskopp (Universität Bielefeld)

Die deutschen Sozialdemokraten – von der sozialen Bewegung zur Massenpartei/ I socialdemocratici tedeschi – da movimento sociale a Partito di massa

 

h.10.10. Antonio Scornajenghi (Università Roma Tre)

Origini e organizzazione del Partito popolare italiano /Ursprünge und Organisation des Partito Popolare

 

h. 11.30. Maurizio Punzo (Universitá di Milano; non presente)

Lettura e discussione della relazione

Organizzare per fare politica. Il partito socialista italiano dalle origini alla guerra/

Verlesung und Diskussion des Beitrags

Organisation im Dienste der Politik. Der Partito Socialista bis zum 1. Weltkrieg

 

h. 12.10 Aldo Agosti (Università di Torino)

Partito di quadri, partito clandestino, partito di massa. Il PCI dagli anni ’20 agli anni ’50/Kaderpartei – Untergrundpartei – Massenpartei. Der PCI von den Zwanziger bis zu den Fünfziger Jahren

 

Sektion 2

Partito Nazionale Fascista und NSDAP als Volksparteien? (1920-1945)/ Partito Nazionale Fascista e NSDAP come partiti popolari di massa? (1920-1945).

Moderation: Thomas Grossbölting

 

h. 15.00 Armin Nolzen (Warburg)

Mechanismen der Mitgliederintegration in der NSDAP, 1925-1945/ Meccanismi di integrazione dei membri nella NSDAP, 1925-1945

 

h. 16.00 Susanne Meinl (Dietramszell)

Die Alimentation der Macht. Finanzverwaltung und Finanzierung der NSDAP durch das Amt des Reichsschatzmeisters/ L’alimentazione del potere. Amministrazione finanziaria e finanziamento della NSDAP da parte del  Reichsschatzmeister

 

h. 17.30 René Moehrle (Universität Trier)

Organisationsstrukturen im PNF/Strutture organizzative  del PNF

 

h. 18.30 Thomas Schlemmer (IfZ München):

Der PNF als Volkspartei/ Il PNF come partito popolare di massa

 

Freitag/Venerdì 28.03.2014

 

h. 9.30 Loreto di Nucci (Università di Perugia)

Tra Stato e partito: organizzazione e funzionamento  del PNF/Zwischen Staat und Partei: Organisation und innere Struktur des PNF

 

h. 10.30 Stefano Cavazza (Università di Bologna)

Il PNF in provincia/Der PNF vor Ort

h. 12.00 Chiara Giorgi (Università di Genova)

Le politiche sociali attraverso il partito/ Die Sozialpolitik des PNF

 

Sektion 3

Volksparteien nach 1945: Durchsetzung und Krise eines Erfolgsmodells? (1945-1995)/ Partiti popolari di massa dopo il 1945: affermazione e crisi di un modello di successo (1945-1995)

Moderation: Stefano Cavazza

 

h.  15.00 Paolo Pombeni (FBK Trento)

Caratteri del partito di massa  in Europa dopo il 1945/Idealtypen der Volkspartei in Europa nach 1945

 

h. 16.00 Andrea Ciampani (LUMSA)

Il tardo risorgimento politico dei cattolici: leader e consenso sociale della Democrazia cristiana/Das verspätete Risorgimento der Katholiken: Parteichefs und Massenbasis der DC

 

h. 17.30  Paolo Mattera (Università Roma Tre): Struttura e finanziamento del partito socialista italiano nel dopoguerra/Struktur und Finanzierung des PSI in der ersten Republik

 

h. 18.30 Maria Casalini (Università di Firenze): La militanza femminile nel partito nuovo di Togliatti/ Die weibliche Basis in Togliattis “partito nuovo”

 

Samstag/Sabato 30.03.2014

 

h. 9.30 Silvio Pons (Università Roma Tor Vergata)

La crisi dell’organizzazione internazionale comunista nel dopoguerra/Die Krise der Kommunistischen Internationale nach 1945

 

Sektion 4

Ausblick/Prospettive

Moderation:  Francesco Traniello

 

h. 10.30 Thomas Großbölting/Rüdiger Schmidt (Universität Münster)

Das Ende der Parteien? Fragen und Hypothesen zur Transformation der Volksparteien seit den 1970er Jahren/ Fine dei partiti? Interrogativi ed ipotesi sulla trasformazione die partiti popolari di massa dagli anni Settanta

 

h. 12.00 Massimiliano Livi (Universität Münster)

Neue politische Organisationsformen: Bewegungen, Unternehmen Parteien und politische Stämme/Le nuove forme delle organizzazioni politiche: movimenti, partiti azienda e tribù politiche

 

h. 14.30 Schlussdiskussion/Discussione finale

Moderation Christian Jansen

Statements der Doktoranden als Einstieg

 

h. 16.30 Schluss der Tagung/ Conclusione del convegno

 

Weitere Teilnehmer (als Diskutanten)/ partecipanti alla discussione:

Francesco Leone (Doktorand Universität Trier)

Laura Di Fabio (Doktorandin Università di Roma Tor Vergata)

Achille Conti (Doktorand Università di Bologna)

Gabriele D’ottavio (FBK Trento)

Valentina Casini (Doktorandin Università di Bologna)

Bernd Rudolph (Doktorand Universität Jena)

Filippo Triola (Post-Doc Università di Bologna)

Massimiliano Passerini (Doktorand Universität Münster)

Monica Fioravanzo (Università di Padova)

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