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Le elezioni tedesche

1 ottobre 2013 No Comment

In riferimento all’esito delle recenti elezioni per il parlamento federale in Germania del 24 settembre 2013 si pubblicano di seguito due articoli di due soci SISCALT: Gabriele D’Ottavio e Giovanni Bernardini .

I due articoli sono apparsi il 24 settembre 2013 sulla rivista «il Mulino» nella rubrica “Lettere internazionali”

 

Speciale Germania                      immagine                                               

Berlino, 24/09/2013                                     

Gabriele D’Ottavio, 24 settembre 2013

Il voto in Germania.

Gli elettori tedeschi affidano per la terza volta consecutiva il compito di guidare il paese ad Angela Merkel, un leader anti-carismatico, premiano – sia pure in misura significativamente diversa – i due grandi partiti popolari a discapito delle formazioni minori ed esprimono, di fatto, la loro preferenza per un governo di Grande coalizione. Insomma, tutto il contrario di ciò che è avvenuto in Italia nel febbraio scorso, dove i due grandi partiti sono stati sanzionati a vantaggio del «Partito di Grillo» e dell’ingovernabilità.

Più nel dettaglio, la Cdu/Csu trionfa con il 41,8% dei consensi (ca. 3,5 milioni di voti in più rispetto al 2009), mancando per una manciata di seggi la maggioranza assoluta al Bundestag, mentre la Spd, con il 25,7% delle preferenze (ca. 1,2 milioni di voti in più rispetto al 2009), migliora di 2,7 punti percentuali il risultato che aveva ottenuto nella precedente tornata elettorale (il peggiore di sempre). Perdono consensi invece i postcomunisti della Linke e i Verdi (questi ultimi ca. un milione di voti in meno), i quali scendono entrambi sotto un risultato a due cifre (rispettivamente 8,6% e 8,4%), mentre la Fdp (4,8%), dopo che nel 2009 aveva ottenuto il suo miglior risultato di sempre (14,6%), rimane per la prima volta fuori dal parlamento (ca. 4,3 milioni di voti in meno), così come l’Alternative für Deutschland (4,7%) e il Partito dei pirati (2,2%).

Più che di «eccezionalismo» è forse opportuno parlare di una «specificità» della politica tedesca che ha tra i suoi elementi distintivi: 1) un sistema di governo efficiente che consente al capo dell’esecutivo – il quale come vuole la consuetudine è anche il Presidente del partito di maggioranza – di esercitare pienamente il suo potere di indirizzo politico e anche di raccogliere i principali benefici elettorali attorno a un operato che viene valutato positivamente; 2) una crescente fiducia da parte dei cittadini nell’azione di governo che la Merkel ha saputo riconquistare anche e soprattutto grazie alla buona gestione della crisi finanziaria ed economica.

È proprio nella combinazione di questi due elementi che va colto il significato e anche la vera novità delle ultime elezioni tedesche. Angela Merkel è stata premiata, al di là di ogni più rosea aspettativa, anche e soprattutto perché è riuscita a dimostrare di avere un’idea sufficientemente realistica e adeguata per gli interessi dei cittadini tedeschi di come si governano i problemi connessi alla crescente integrazione dei mercati capitali, anche se non vanno comunque sottovalutati i 2 milioni di voti presi dall’unica formazione dichiaratamente anti-euro (l’Alternative für Deutschland).

L’«europeizzazione» del voto tedesco non significa però che l’annoso problema del deficit democratico in Europa sia in via di soluzione. Anzi, per certi aspetti il problema risulta aggravato dalla percezione sempre diffusa che la ricetta di Frau Merkel adottata dall’Europa stia portando grandi benefici a Berlino, ma molti danni agli altri paesi meno virtuosi.

È questa la sfida principale che attende la Cancelliera e il nuovo governo (a questo punto molto probabilmente di Grande coalizione) che verrà da lei presieduto nei prossimi quattro anni: dimostrare di non avere solamente le carte in regola per aspirare alla leadership in Europa, ma anche la legittimazione internazionale per esercitarla.

Nel 1960 Konrad Adenauer ammise che era stato grazie alla sua immagine di interlocutore affidabile presso gli alleati che era potuto divenire lo statista che era diventato, vincendo per tre volte consecutive le elezioni politiche. Resta ora da vedere se anche Angela Merkel coltiverà l’ambizione di essere ricordata non solo come uno dei cancellieri più longevi nella storia della Repubblica Federale, ma anche come una statista di levatura internazionale.

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Speciale Germania

Berlino, 24/09/2013          immagine

Giovanni Bernardini, 24 settembre 2013

http://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:2343

Il mondo secondo Angela. 

E Angela fu. Le urne tedesche non hanno prodotto alcuna sorpresa da ammannire ai media internazionali. Tutt’al più un’alzata di ciglia se l’è guadagnata la proporzione della vittoria, a un’inezia da quella maggioranza assoluta (315) che arrise soltanto al padre fondatore Adenauer nel 1957, una Guerra Fredda fa.

Angela, ben più che il suo partito: raramente una vittoria ha avuto fattezze tanto riconoscibili. Ha affrontato la sonnolenta campagna elettorale con un piglio da manager di successo, col caratteristico «rombo a mani giunte» che suggerisce capacità e competenza. Alla vigilia ha ammonito: votate Cdu, che sola vi garantisce Merkel Cancelliera. Il partito come mezzo; lei, il fine. Meno comprensibili appaiono le accuse ai tedeschi per non aver scelto progetti lungimiranti per il futuro. Chi tra le forze in campo ne ha proposti? Non certo la Spd, che ha supportato in parlamento tutte le principali iniziative della Cancelliera. L’inerzia ha dunque premiato il pragmatismo che ha chiuso fuori dalle frontiere la crisi continentale, riducendo all’indispensabile il coinvolgimento nelle altrui sfortune.

L’hanno accusata di praticare il mestiere di arrangiarsi. La campagna di Merkel avrebbe sublimato la “smobilitazione asimmetrica”, cervellotica definizione che equivale a pronunciarsi il meno possibile su questioni controverse, e a far proprie molte posizioni altrui. Un’occupazione dello scenario politico che ha relegato alla marginalità anche il ministro degli Esteri Westerwelle, assurto alla cronaca soprattutto per le numerose gaffe, e il suo partito liberale, rimasto fuori dal parlamento nazionale per la prima volta. Se Merkel sia la leader “post-ideologica” del XXI secolo, o piuttosto il frutto del «fallimento collettivo» dell’elite politica denunciato da Habermas, è presto per dire. Interessa piuttosto comprendere come la sua azione influenzerà la proiezione internazionale della Germania per i prossimi anni.

In Europa, la Cancelliera ha marcato un indirizzo che sta facendo discepoli: le istituzioni di Bruxelles sono inadatte a prevenire nuove «tragedie greche»; meglio affidarsi a un più stretto coordinamento e controllo reciproco tra gli esecutivi nazionali, nella loro piena indipendenza. Un progetto per il futuro? Piuttosto l’ennesimo ripiegamento dovuto alla scarsa volontà di lavorare a un aggiornamento dell’architettura comunitaria. Quanto alle ricette contingenti, la fedeltà all’Ue e alla moneta unica si coniuga con la rigidità delle ricette tedesche: la crisi è figlia del debito pubblico e dalla sua riduzione a ogni costo dipende la ripresa dei partner. A poco è valsa l’evidenza che tale regola d’oro tarda a luccicare: pressoché ovunque ai tagli crescenti è corrisposto un crollo del Pil, che allontana ulteriormente l’obiettivo ed esige enormi tributi sociali . Una politica lungimirante? I dati di inizio 2013 mostrano che gli affari tedeschi col mondo extraeuropeo faticano a compensare le ingenti perdite verso gli impoveriti corregionali. Tralasciando il rischio che un’Ue sottoposta a simili sollecitazioni voli in pezzi a ogni momento, non è forse un’immagine di perenne debolezza europea che una siffatta leadership “negativa” tedesca trasmette al resto del mondo?

Si guardi ai rapporti con la Cina: un anno fa Merkel tornava dall’ennesima visita a Pechino brandendo contratti per cinque miliardi di euro, ma anche gravata da critiche per le mancate rassicurazioni sul rispetto delle regole in materia di trasparenza e proprietà intellettuale e di accesso al mercato cinese, e per aver glissato sul rispetto dei diritti umani. Appare ormai chiaro che le avance di Pechino per una partnership strategica con l’Europa segnalano il desiderio di rafforzare la struttura multipolare del sistema internazionale, riducendo in termini relativi la preponderanza statunitense. Una sfida che necessiterebbe urgentemente di un contributo politico e intellettuale collettivo del Vecchio Continente, cui né il pragmatismo della Cancelliera né l’unilateralità del suo approccio sembrano consoni.

Nel frattempo, a ridosso delle elezioni la Cancelliera ha ammonito Russia e ancora Cina per la loro opposizione a una risoluzione congiunta delle Nazioni Unite in favore di un intervento in Siria. La Germania si allinea dunque al fronte europeo franco-britannico? Cautela: Berlino prenderà parte soltanto a iniziative espressamente autorizzate da Onu, Nato, o Ue (e che differenze questo implicherebbe!). Parole definitive? La Cancelliera si è affrettata ad aggiungere sabato che al momento una partecipazione della Bundeswehr «non è in questione». Ravvedimento pacifista? Piuttosto consultazione tempestiva dei sondaggi di venerdì scorso, che davano sei elettori su dieci fermamente contrari a qualunque offensiva; linea sposata poche ore prima dal rivale socialdemocratico Steinbrück.

Per il momento il pragmatismo ha garantito una sfavillante vittoria elettorale. Ma che l’improvvisazione e la scarsa assunzione di responsabilità possano contribuire al risollevamento dell’Europa e al futuro benessere tedesco, è lecito dubitare. La Germania sembra piuttosto ricadere in un vecchio stereotipo che la voleva «gigante economico e nano politico». Una Guerra Fredda fa, appunto.

 

 

 

 

 

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